Come avevo promesso, inauguro questa nuova sezione de “i film consigliati” con due film simili, con tema ricorrente il basket, sport che ho praticato per anni e per il quale ho ancora molto interesse e amore. I film che vi consiglio sono: “Coach Carter”, con protagonista un fantastico Samuel L. Jackson, prodotto grazie anche a MTV, e “Glory Road” con protagonista Josh Lucas, della Walt Disney.
In entrambi i film ovviamente si parla di basket, si parla di come un allenatore può influire molto sul carattere, sull’ambizione, sull’anima di un ragazzo, che sia liceale o di college, ovvero quando questi hanno più bisogno di una guida. Se aggiungiamo che in entrambi i casi si parla di situazioni disagiate, ovvero di ragazzi afroamericani che affrontano problematiche più grosse di loro, come la segregazione razziale nel Texas, famoso stato dove il razzismo comportava grandissime problemi, negli anni ’60 o le condizioni di vita quotidiana e scolastica ai giorni nostri in un quartiere ad alto tasso delinquenziale, possiamo concludere che la figura dell’allenatore diventa di estrema importanza e cardine di queste storie, tratte da fatti realmente accaduti.
Ma passiamo all’analizzare entrambi i film, uno alla volta.
Glory Road: è la storia della squadra di college dei Miners, incredibilmente vittoriosa nel campionato NCAA 65-66, prima squadra a schierare l’intero quintetto base di colore. L’allenatore, Don Haskins (per questo fatto entrato nella Hall of Fame del basket, NdA), dopo aver allenato una squadra femminile, viene chiamato ad El Paso, cittadina nel Texas, per guidare la formazione dei Texas Western Miners, squadra del piccolo college della città. Non avendo denaro per offrire borse di studio ai giocatori liceali (bianchi) più forti in circolazione in quel momento, vedendo giocare un afroamericano durante una partita e rimanendone impressionato, gli offre una borsa di studio, e capisce che può sfruttare la voglia di emergere, l’amore per il basket e l’atletismo dei neri per vincere il campionato. Cosicché, girando per gli Stati Uniti, scova altri 6 ragazzi di colore talentuosi, e riesce a convincerli ad accettare la sua offerta. Naturalmente questa decisione fa storcere il naso ai finanziatori del college, di mentalità abbastanza ristretta, e comporterà diversi problemi al coach, problemi che emergono anche nell’accettazione dello stile di gioco rigoroso imposto dall’allenatore ai fantasiosi giocatori di colore. Ma questi problemi non faranno altro che incitare ancora di più il coach a perseverare nella sua idea, con ottimi risultati. Non vi sto ovviamente a raccontare tutto il film, per quello ci sono molti siti più adatti per questo, ma vi posso assicurare che non è solamente un film di sport, ma è un film dove si parla di temi anche molto più alti, quali il rispetto, l’accettazione ma soprattutto la comprensione di un mondo diverso da quello in cui si è vissuto fino a quel momento (molto esplicativa la scena dove il giocatore bianco proveniente da uno stato “agricolo”, quindi senza aver concezione del mondo al di fuori del proprio terreno, chiede spiegazioni ai suoi compagni afroamericani su alcuni termini e modi di fare loro o su di loro, con conseguente risposta e contro domande), l’unione che si crea in una squadra tra giocatori e tra squadra e allenatore, anche se quest’ultimo è stato particolarmente duro e severo, la sana ambizione e la voglia di emergere. Insomma, un film veramente bello, consigliato, e con alcune scene da stamparsi bene in mente, come questa , o questa .
Passiamo al secondo film: COACH CARTER.
Come detto, questo film è ambientato negli anni 2000, in un quartiere malfamato di una cittadina californiana. Il protagonista qua è coach Carter, proprietario di un negozio di sport e padre di un giocatore della squadra del prestigioso liceo privato della zona. Durante una partita tra la formazione del figlio e quella della sua scuola, nota il grande patrimonio tecnico della squadra del suo ex liceo, ma anche l’enorme confusione che regna in quella squadra. Chiamato poi dal suo ex allenatore, che appunto allena la squadra del Richmond Oilers, accetta l’incarico offertogli dal suo mentore, e inizia a dirigere la squadra. Ovviamente, dato il suo ben poco diplomatico carattere, all’inizio non saranno rose e fiori per lui nel rapporto coach – giocatori, e successivamente, coach – preside – genitori, ma piano piano conquista prima la fiducia dei giocatori, poi quella della preside (e dei professori) e alla fine pure quello dei genitori, anche se con enormi sforzi e dopo numerose polemiche e problemi, Ma in un quartiere così, con giovani pieni di problemi e senza molte figure di riferimento, diventerà a sua volta mentore di questi ragazzi, facendogli capire che non di solo sport vive l’uomo, e che ce la fanno ben pochi ad arrivare a livello NBA e quindi si dovevano impegnare a fondo nello studio sia per poter giocare nella sua squadra, sia in un futuro dopo il diploma, magari al college, e non in strada come la maggior parte dei loro coetanei. Con un evento poi che sconvolgerà le vite dei ragazzi, questi capiranno la lezione e diventeranno uomini migliori.
Anche in questo film ovviamente ci sono scene e frasi degne di essere ricordate, come questa, dove il membro più problematico risponde alla domanda “Di cosa hai paura?” posta più volte dal proprio coach “La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati.
La nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura.
È la nostra luce, non la nostra oscurità che più ci spaventa.
Agire da piccolo uomo non aiuta il mondo, non c’è nulla di illuminante nel rinchiudersi in sé stessi così che le persone intorno a noi si sentiranno insicure.
Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria che c’è dentro di noi, non è solo in alcuni di noi è in tutti noi.
Se noi lasciamo la nostra luce splendere inconsciamente diamo alle altre persone il permesso di fare lo stesso.
Appena ci liberiamo dalla nostra paura la nostra presenza automaticamente libera gli altri.”
Concetto preso da una poesia Marianne Williamson, e ripetuto in un discorso da Nelson Mandela (anche se molti l’attribuiscono direttamente a lui). Pensiero attualissimo, e da scolpirsi nella memoria.
Insomma, gli americani si dimostrano ancora campioni nel fare film sportivi e con una morale forte, che insegna, in modo da non essere solamente puro svago per un’ora e mezza o due, ma anche fonte di riflessioni, di discussioni, di analisi e perché no, di speranza. Ci sono altri film così, come “Colpo Vincente”, con Gene Hackman, dal quale hanno preso ispirazione entrambi i film citati, o “Miracle on Ice”, film sull’hockey su ghiaccio, altro film da vedere, secondo me (forse ci farò una mini recensione in futuro), film che mi piacciono da morire e consiglio a tutti, perché uniscono buone storie, attori molto bravi, riprese fantastiche e perché smuovono l’animo del telespettatore. Se devo essere sincero, ogni volta che vedo questi film, mi emoziono.
Vabbuò, ragazzi e ragazze, finisco qui la mia prima recensione/critica, sperando di avervi incuriosito e fatto spuntare l’idea di vederlo. Ovviamente, se ne avrete voglia, dopo averlo visto, potreste commentare e postare qua sotto le vostre impressioni, se vi è piaciuto o se vi ha fatto schifo, critiche alla mia recensione oppure consigli su film che devo vedere secondo voi (vi avverto però che non è facile, dato che ho visto parecchi film).
Buonanotte a tutti,
M.A.R.C.O.